LETTERA APERTA di ANDREA CAMILLERI
“Bisognerebbe far capire ai politici che la lettura non è né un passatempo
né un fenomeno di nicchia...
Ho aderito alla lettera aperta del Forum del Libro ai candidati alle elezioni perché, malgrado tutto, credo che si debba dare una chance al ceto politico: queste occasioni è necessario darle, perché senza politica una nazione esiste, la politica è la ragion d’essere di ogni nazione. Si tratta di dare chances naturalmente alla buona politica, cioè alla politica intesa nel senso del lavorare per il bene comune.
Certo, lanciare una proposta al momento della campagna elettorale è un’arma
a doppio taglio. Durante la campagna elettorale i politici si distinguono per
fare promesse. Si diceva una volta, da marinaio. Ma qui vedo fare promesse da
ammiraglio, che poi puntualmente non si mantengono, neppure in minima parte.
Questo è il coté negativo, il lato positivo è invece chiedere ai candidati di
occuparsi della lettura… vuoi vedere che qualcuno poi mantiene l’impegno preso?
Bisognerebbe far capire ai politici che la lettura non è né un passatempo
né un fenomeno di nicchia. Una volta, prima dell’ultima guerra, il teatro era
veramente per pochi, per una élite, ma nel dopoguerra grazie all’opera di uno
come Paolo Grassi o di Giorgio Strehler, il teatro riuscì a diventare un
servizio pubblico, un po’ come sono le biblioteche. Bisognerebbe far capire che
andare a teatro o leggere un libro non è un passatempo: in realtà è anche un
passatempo se vogliamo, ma è anche qualche cosa di più, cioè a dire un crescere
da uomini, da cittadini, un capire il mondo, un conoscere l’infinita quantità di
cose che ignoriamo, cioè un continuo arricchimento. Le nazioni dove più si legge
sono le nazioni più civili.
Se dovessi aggiungere una mia proposta, consiglierei di regalare a ogni
famiglia italiana dei libri: si potrebbe organizzare una sorta di
mini-biblioteca domestica. Per esempio, io ho una gran quantità di libri e mi
succede di avere dei doppioni: allora li mando alle biblioteche del carcere per
esempio o a piccole biblioteche di paese che so che sono sfornite o si trovano
in difficoltà. Se si potesse organizzare una specie di collettore e inviare in
dono alle famiglie italiane un po’ di libri, credo che faremmo una cosa molto
utile. In una casa dove sono presenti libri si crea un incentivo alla lettura,
naturalmente, perché in un bambino o un ragazzo può nascere la curiosità e basta
che cominci a leggerne uno perché venga, come un pesce, preso all’amo della
lettura. Una casa senza libri è una casa che non ha sviluppo, che non ha futuro.
Mio padre non era un intellettuale, era impiegato alla capitaneria di porto, ma
era un uomo di buonissime letture e avevamo tantissimi libri in casa: da
bambino, io ho imparato a leggere da solo, per poter leggere i libri di mio
padre e al primo libro che ho domandato il permesso a papà di leggere,
chiedendogli “papà, quali libri posso leggere?”, papà mi rispose “i libri si
possono leggere tutti” e questa già fu una grande lezione. Lessi libri per
adulti e solo dopo, verso i 16 anni, dovetti leggere libri per ragazzi, per
colmare un vuoto, perché altrimenti sarebbe venuto a mancare un tassello di
crescita.
Oggi è diverso anche il rapporto con la lingua. Mentre io, da ragazzino
siciliano, e i miei coetanei abbiamo imparato la lingua italiana con una certa
difficoltà, perché in casa parlavamo solo il dialetto, oggi i bambini, come
dicono a Roma, “nascono imparati”, perché guardano la televisione e imparano
l’italiano in questo modo. Parlano un italiano che Pasolini direbbe omologato,
ma comunque è un buon italiano. Nei primi tempi della televisione c’era il
leggendario maestro Manzi, che insegnava a leggere e a scrivere, che fece
prendere la licenza elementare a tanti analfabeti… bene, io non capisco perché
oggi la tv deve trattare la lettura o parlare dei libri come se fosse una cosa
di nicchia, parlarne solo in trasmissioni specialistiche, alle tre di notte e in
una sorta di ghetto per malati, per quei poveracci che alle tre di notte sono
ancora svegli e soffrono d’insonnia. E invece il libro va trattato come un
oggetto di consumo, perché lo è, solo che è un oggetto di consumo che costa poco
ed è di un valore immenso. La televisione avrebbe possibilità infinite per la
diffusione della lettura, ma solo se si adottasse una formula po-po-la-re,
perché fin quando si considera il libro una cosa a parte, riservata a pochi, si
sbaglia. La televisione rappresenta la quotidianità e il libro può entrare nella
quotidianità. Perfino nelle trasmissioni di cucina, oggi che c’è la mania della
cucina, perché non si parla mai dell’Artusi e del suo italiano meraviglioso? Si
può abbinare il libro al divertimento e all’informazione: quando si parla di un
problema o di un qualsiasi episodio, perché non dire c’è un libro che parla di
quelle cose? Così faremmo entrare il libro nell’uso comune, quotidiano, e non
solo in una trasmissione sontuosa o pretenziosa...
Il libro è, o almeno può essere un oggetto popolare. Dicono che i libri in
Italia costano molto, ma non è vero, io me ne accorgo dalle mie traduzioni, che
in altri paesi costano enormemente di più. Bisognerebbe fare qualcosa per
rendere il libro e la letteratura più popolare, ma senza pretendere troppo.
Qualche anno fa andai a parlare in una scuola elementare frequentata da una mia
nipotina, e mi invitarono perché avevo successo come scrittore. Dopo, la
nipotina mi disse “nonno, però il papà di un bambino che faceva il pompiere ha
avuto più successo di te”. “Si capisce” le ho detto, “e meno male…”. Altre volte
va meglio. Ricordo che qualche anno fa ho vinto un premio che mi ha francamente
emozionato, era il premio per il libro straniero più letto nelle biblioteche
pubbliche di Parigi.
Il ruolo delle biblioteche è fondamentale. Nel ‘46 la mia famiglia si
trasferì ad Enna, nel centro della Sicilia, a 800 metri d’altezza, dove faceva
un freddo terribile, non avevamo il riscaldamento. Un giorno dovetti andare al
municipio per qualche cosa, una pratica, ora non ricordo. Nel grande atrio, dopo
il portone, fui raggiunto da una dolcissima ondata di calore che veniva da una
porta aperta sulla sinistra, guardai e c’era scritto Biblioteca comunale:
entrai, era una bellissima biblioteca, tenuta perfettamente in ordine, c’era un
signore in maniche di camicia che alimentava due grosse stufe, mi guardò e disse
“desidera?”. “Vorrei parlare col direttore”, si mise la giacca e rispose “sono
io”. Era l’avvocato Giorgio Fontanazza, il suo nome non l’ho dimenticato più. La
biblioteca aveva i lasciti di due scrittori siciliani, Nino Savarese e Francesco
Lanza, le riviste letterarie dell’inizio del ’900, e tanti bei libri. Mi feci
una cultura in quei tre anni, sono stato dalla mattina alla sera buttato in
biblioteca… Fu la mia salvezza.
(Testo raccolto da Giovanni Solimine, Presidente dell’Associazione Forum
del libro)
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