lunedì 26 novembre 2012

Intervento di Loris Pellegrini



LE HO VISTE TUTTE

Vent’anni di biblioteche scolastiche

Appunti per la relazione tenuta al Convegno Nazionale del
CONBS - Coordinamento Nazionale Bibliotecari scolastici

Milano, 7/2/225



Cominciamo con le presentazioni. Anche se in questo momento non sono né bibliotecario scolastico né docente bibliotecario, tuttavia il bibliotecario l’ho fatto per molti anni, dodici, dall’85 al 97, da titolare di cattedra, in un istituto tecnico, gestendo una biblioteca che dai 6.000 volumi iniziali ho portato a 14.000. Erano i tempi in cui un insegnante in servizio poteva occuparsi di biblioteca nelle ore a disposizione e se chiedeva di poter frequentare un Master in biblioteconomia (comunque non ce n’erano…) si vedeva rispondere con un sorrisetto che significava “Ma lei è matto…”. Tuttavia non sono caduto nella trappola del “fai da te”: mi sono reso subito conto, infatti, che la biblioteconomia è una scienza che lascia poco spazio agli empirismi, e ho cominciato a studiare. Gli anni dall’85 al 97, poi, vorrei ricordarlo, sono stati anni di grandi cambiamenti nel mondo delle biblioteche, scolastiche e no: hanno visto il passaggio dal catalogo cartaceo alla scheda virtuale, dalla schedatura personale alla schedatura partecipata, dalle competenze biblioteconomiche a quelle informatiche; dai tasti della Olivetti ai link di Internet. Insomma: ho cercato di seguire i cambiamenti studiando e applicando ciò che andavo man mano apprendendo. Alla fine ho riversato il mio “sapere” in un piccolo Manuale del bibliotecario scolastico che ho reso disponibile in Internet (www.webalice.it/loris.pellegrini/biblioteche) e che, mi dicono, è stato molto letto ed ha aiutato più di un bibliotecario scolastico: mi fa piacere, il sapere va condiviso.
Finite le presentazioni veniamo alla relazione. Perché questo titolo: “Le ho viste tutte”? Perché di biblioteche scolastiche ne ho viste parecchie, perché a proposito di biblioteche scolastiche ne ho viste di tutti colori, a partire dal fatto che troppo spesso l’accento viene posto su “biblioteca” mentre dovrebbe venir posto su “scolastica”. Ne vorrei parlare con voi perché in fondo le biblioteche scolastiche si possono “classificare” (“classificare” parlando di biblioteche è una bella tautologia…) in alcune grandi categorie e in una di queste è probabile che riconoscerete la vostra. Individuato il tipo è più facile chiedere e dare un consiglio.

Cominciamo, ad esempio, dalle biblioteche presenti in scuole che non si pongono neanche il problema della biblioteca: mezze aperte, mezze chiuse, tirano avanti come possono nell’indifferenza generale: gli insegnanti si guardano bene dal sollevare il problema: dare dei libri da leggere ai ragazzi significa scegliere, correggere, ecc.: meglio le due paginette dell’antologia; i dirigenti si guardano bene dal sollevare il problema: una biblioteca vuol dire un aumento di lavoro amministrativo e un investimento economico che potrebbe magari essere speso in altri bei progetti un po’ più fumosi ma di “sicura” immagine.
In una situazione come questa verrebbe da pensare che il povero bibliotecario – tra l’indifferenza dei colleghi, la sottile ostilità della dirigenza, l’impossibilità di lavorare con continuità – potrebbe anche pensare al suicidio. E in vece no. Se non c’è la domanda, se gli studenti non vengono perché non sanno neanche che c’è una biblioteca, si può pensare di attivarla, la domanda, attivando l’offerta. Vorrei citare, ad esempio, le esperienze del tavolino con i libri all’ingresso della scuola (come è stato raccontato in un convegno a Reggio Emilia), o il BOBI, il Bollettino della Biblioteca di cui io stesso ho curato una ventina di numeri per l’ I.T. Geometri di Rimini, numeri che potete trovare sul sito del COBIS.
Insomma: se non è possibile l’ordinamento “scientifico” della biblioteca (attraverso la sacra trimurti: CDD, RICA, ISBD) si può fare ugualmente una ottima educazione alla lettura.

Poi ci sono le scuole che il problema della biblioteca, almeno, se lo pongono, e se lo pongono talmente che fanno grandi progetti, chiamano l’esperto, organizzano conferenze, ma i libri poi rimangono sempre gli stessi, stipati nei soliti armadi. I grandi progetti, infatti, parlano in genere di “biblioteca multimediale”, di “rete”, citano sigle misteriose come “classificazione Dewey”, “catalogazione partecipata” quasi fossero formule magiche capaci di sanare tutti i mali, e in attesa della “grande opera”, quasi una ristrutturazione alchemica della biblioteca, non riescono o non vogliono affrontare i piccoli mali della quotidianità che potrebbero facilmente essere risolti: inventario, riordino, recupero dei libri dispersi, apertura ad orari regolari, ecc.
In questo caso il bibliotecario, o la bibliotecaria, può scegliere fra il “complesso della madre di famiglia” (gettarsi anima e corpo, cioè, a fare qualcosa dovendosi aspettare, però, che prima o poi qualcuno gli farà notare che ha sbagliato) o la sindrome di Sisifo (fare-disfare, fare-disfare, ecc.). Quello che è certo è che dovrà evitare nel modo più assoluto di cadere nella trappola della buona fede (“Non ne sapevo niente di tutte questa regole…”), o, peggio ancora, quella del “vocazione al martirio” (“Quante ore ho lavorato in biblioteca, e gratis!”). Un lavoro mal fatto non ha scusanti. E vale la pena di fare qualcosa che qualcun altro, poi, dovrà buttare via? È una domanda che chiunque si accinga a lavorare in una biblioteca deve farsi.

Ed eccoci giunti alle scuole che la biblioteca ce l’hanno e funziona. Tutto bene dunque, verrebbe da dire. No. Perché, purtroppo, molto spesso queste biblioteche sono organismi “autarchici”: hanno elaborato sistemi di catalogazione “personali”, adottato schedature “particolari”, accettato con orgoglio il principio che “chi fa da sé fa per tre”. È difficile confrontarsi con queste perché da un lato vorresti complimentarti con l’istituto che ha reso funzionante uno strumento didattico fondamentale come la biblioteca. Ma, invece, ti trovi a doverlo rimproverare. Perché se è vero che “piccolo è bello” (come andava di moda dire qualche anno fa…) grande è meglio: la biblioteca non può essere un regno per gli “happy few”, i pochi felici. Oggi la biblioteca non è più solo un luogo di conservazione, semmai di scambio. La parola d’ordine è: interagire.

Infine ci sono le biblioteche che funzionano e che si aprono verso l’esterno, ma queste sono lodevoli eccezioni e noi qui non ci occupiamo dei miracoli. Attenzione però ai “falsi miti”.
·         Il primo mito da sfatare, forse, è quello del catalogo generale di tutte le BS: è un lodevole obiettivo dal punto di vista “conservativo” (ho un quadro del patrimonio librario) ma è inutile sapere dov’è il libro se non c’è il prestito interbibliotecario e le BS, lo ricordo, non sono biblioteche pubbliche e non obbediscono al loro regolamento.
·         Il secondo mito è la biblioteca perfetta: è inutile una BS ordinata ma chiusa per mancanza di personale.
·         Il terzo, infine, è l’idea di biblioteca scolastica come biblioteca pubblica: non può diventarlo: la BS è uno strumento di lavoro didattico che può anche funzionare come biblioteca “aperta al pubblico” ma senza dimenticare la sua funzione è didattica NON conservativa.

Conclusione

Ne vedremo delle belle:
1.      finché le scuole non si renderanno conto che la BS è è un gabinetto scientifico come quello di fisica e di chimica e che gli deve essera data almeno la stessa attenzione che si hanno verso questi;
2.      finché il problema della “conservazione” in una BS sarà visto come più importante di quello della promozione alla lettura;
3.      finché il bibliotecario cadrà nella seducente trappola del “fai da te” e del “martirio”: non ci si improvvisa bibliotercari e non è sufficiente la buona volontà;
4.      finché dunque non nascerà la figura del bibliotecario documentalista, legalmente riconosciuta;
5.      finché si “coltiverà il proprio giardino” (per usare una felice espressione di Voltaire) senza rendersi conto che intorno a noi il mondo cambia e che il nostro lavoro ha un senso quando serve a molti e non solo a noi;
6.      finché infine si li lascerà sedurre dalle facili sirene delle mode e dei miti di passaggio.

Grazie e buon proseguimento dei lavori.

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