lunedì 26 novembre 2012

Intervento di Donatella Franken


Piccoli lettori crescono:

una biblioteca nella scuola dell’infanzia

Donatella Franken





1 – la lettura

Si dice spesso che il buon libro, come il bel film la bella fotografia, quadro,opera, è quello che apre la mente ai dubbi, che ti lascia andar via con delle domande aperte, che continua dentro di te in un tempo assorto nella ricerca di soluzioni coinvolgendo l’intelligenza  e l’emozione.
Quando questo succede a me, adulta, non ho del fatto una coscienza così immediata e chiara. Posso dire  “mi è piaciuto”, aver voglia dopo un po’ di discuterne.
Nei bambini piccoli, quando questo succede, si vede subito.
Non perché in maggioranza  i piccoli scelgano quel libro di qualità  nel mucchio per il prestito. Scelgono anche seguendo stimoli vari, non escluse le campagne massmediali con il loro corredo di oggettini  tanto apparentemente vuoti come giochi, quanto carichi di significati sociali e psicologici.
Il libro che porta quel messaggio in copertina, nato in messe abbondante di etichette improvvisate, testi scadenti, orride illustrazioni, finte interattività, pretese didattiche più o meno cartonate e traforate, imitazioni di modelli incompresi, spesso tradisce l’attesa del bambino che comunque inconsapevolmente riesce a riempirlo di ciò che manca, con sua creazione.
Anche la mia biblioteca della scuola dell’infanzia di Pero è piena di questa fuffa. Mettendola in piedi, quattro anni fa, ho acciuffato di tutto, per avere un numero sufficiente di testi da permettere la scelta a una sezione  dopo l’altra, mano mano che i libri vengono portati a casa. ( Sei sezioni di venticinque bambini circa, in cui intervengo  con il ritmo di due alla settimana, perché gli altri giorni devo lavorare in segreteria). E nessuno dei presenti salta mai un giro di prestito come accade alle elementari, e sempre più, salendo di classe, man mano che la lettura diventa più impegnativa come volume.
Ma la mattina, in classe, si legge.

Qualche volta leggo ai bambini, ma normalmente leggo con i bambini, in piccoli gruppi, nell’angolo morbido che allestiamo al momento, dentro il “loro” spazio-classe, anche nel leggero fastidio delle attività degli altri gruppi che giocano nei centri d’interesse dell’aula. Siamo comunque protetti, isolati nell’alone creato da quel quadratino di carta e cartone. Lì dove gli occhi si incontrano, imitando lo sguardo attento del lupo in cerca di preda, quello stupito di arlecchino in cerca del proprio nome, della pimpa divertita dalla scoperta  delle  regole del vivere…
Allora la fuffa la imbosco nelle cassette riservate al pomeriggio, per l’ora del prestito. Perché non ho voglia di riadattare  a braccio il testo verboso e scorretto che segue le avventure di quei dalmata lacrimosi mal disegnati( a volte lo faccio, nei giorni in cui strabocco di buona volontà), o di cercare assieme una qualche magia nell’avventura di quell’Aladino dai nomi anglicizzati che avrebbe senso solo se  conservasse, per assurdo, il carattere un po’ mafioso e maschilista dell’originale antico, insomma tutto da reinventare.
Ma il buon libro si vede subito. Negli occhi dei bambini mentre leggiamo. Si vede nel breve silenzio che segue l’ultima parola. Sotto, appoggiato alle mie cosce, c’è il mucchio dei libretti in turno d’attesa; ognuno controlla l’avvicinarsi  del proprio e, avanti, “ adesso il mio!” in ritmo incalzante come quello degli spot, a  riempire ogni vuoto. Ma quando parole, colori e forme e spazi e attese riescono magicamente a ricalcare i modi in cui il pensiero infantile procede, in cui procede la paricolare forma di costruzione del mondo e del sapere, l’architettura, anche, del castello interiore dei sentimenti, la coscienza in formazione del crescere, allora  c’è una pausa, come una piccola tregua dei litigi insignificanti e delle comunicazioni trascurabili a favore di un pensiero autentico e di una comunicazione reale.
A volte è una osservazione leggera e penetrante, una domanda a cui qualcuno risponde con un ricordo, un’associazione, una previsione.
Ogni lettura, come del resto ogni gioco che si attiva nella scuola dell’infanzia, è una strada da cui si diramano una quantità di sentieri secondari. Dio sa dove si arriva  ( o in che punto  si ritorna ) imboccandone uno e lasciandosi prendere dal viaggio. E’ facile passare ad altri linguaggi espressivi o esplorativi. Aggiungere nuovi personaggi e nuovi accadimenti d’invenzione, dotare l’azione di materiali, strumenti, oggetti che si caricano, nella costruzione o nella trasformazione, dei sensi magici del racconto.

In realtà non è la lettura ad aver bisogno di un’animazione  a…, essa la induce, si anima per naturale sviluppo. Si può lasciare che succeda ora, qui, mentre siamo insieme. E niente è più spontaneo, nella scuola dell’infanzia: si scatta in piedi ed il corpo è sempre pronto ad essere traversato e ad attraversare le esperienze. Il corpo intero prima di ogni altra cosa, con percezioni e azioni globali, prima ancora di prolungarsi in oggetti e oggettivarsi in paesaggi o colori.
Questo non significa che tutto avvenga nella più facile e disimpegnata spontaneità. Dopo l’idea nata dal momento magico di comunicazione ci vuole un progetto, un lavoro, un’impegno in cui ognuno renda il massimo. Come quando da una brevissima filastrocca, apparente non-sense su balconi e vecchiette, siamo arrivati ad immaginare lo spazio percorso dai fili invisibili della vita e imbastire su di quelli  una danza. All’inizio era un gioco che è nato con la costruzione degli strumenti che ci servivano, spade,coltelli, intrecci di fili colorati e paglia, si è sviluppato tessendo, tagliando, galoppando nei venti, combattendo al ritmo di diverse musiche, fino a definirsi in una specie di coreografia sempre più precisa. Quattro danze, anzi, da inventare prima,poi  imparare e poi riprodurre per gli altri.

Non sempre condivido le tante iniziative raffazzonate di cosiddetta animazione al libro che si muovono come se il libro , per diventare interessante, avesse bisogno di un’accozzaglia di giochetti da scimmie, legati al testo da associazioni pre-programmate.
In realtà si può scegliere:
٭ si può seguire il sentiero che dal libro si apre ora, tenendo vive le onde di comunicazione che si creano nel piccolo gruppo ( a volte è bello, è utile, è collegato con un progetto didattico dell’anno scolastico ).
٭ Oppure si può fermarsi lì e così: affidare la lettura al vento dalla riva come una vela e lasciarla andare dove comunque andrà, indipendentemente dalla maestra e dai suoi programmi, a casa dei bambini e dei loro genitori, dei nonni, ai giardinetti, in macchina, in cameretta. Ovunque i bambini costruiscono il loro mondo immaginario, come sempre fanno con determinazione caparbia.

Questa seconda scelta  è la base quotidiana del nostro lavoro di lettura presso la scuola dell’infanzia di Pero. Sicuramente con qualche imput di  improvvisazioni vocali o mimiche, scherzi e commenti che proprio sono il pane giornaliero tra i tre e i sei anni, impossibile comunicare diversamente. Ma la lettura è principalmente lettura.
La formazione dell’immagine interiore e la nascita di onde di comunicazione ne sono i fatti costitutivi
Leggiamo seduti in intimità a terra e  sul morbido, con la vicinanza che permette di abbassare la voce fino a sussurri e di cogliere le sfumature degli sguardi , delle reazioni, del rilassamento e delle tensioni dei corpi. .
Non abbisognano d’altro le storie di Piumini, Munari, Altan, di Fatus, Batutt  e quante hanno risonanze così felici e immediate.
Non più di quanto avessero bisogno i libri sulla vita degli insetti, dei ragni e degli scorpioni , per la curiosità di Luca, un bambino più grande, alle elementari, così distratto e problematico in classe, quanto attento ed esperto in questo campo delle scienze. Ciò che necessitava a quel libro era solo di essere là aperto sul tavolo il martedì, per lui.


2 – il prestito

Il pomeriggio, verso l’orario d’uscita, metto tutti i libri tutti distesi sui tavoli fuori della classe perché siano ben visibili per la scelta . Le operazioni del prestito avvengono all’arrivo delle famiglie.
I primi anni  avevo un carrellino di quelli che si usano per le valige, e alcune cassette del mercato di plastica di vari colori, quelle di forma più aggraziata che avevo trovato. Legavo le cassette piene con l’elastico sul carrellino per trasportare i libri dalla sala docenti. Adesso arrivo in classe con un carrellino più capace, sul piano basso la trapunta che, guarda caso, porta stampati dei topolini. Ma le cassette sono sempre quelle, che poi servono anche per la raccolta dei libri in rientro.
 “ Vede quella cassetta verde  col cartellino BIBLIOTECA?” spiego ai nonni impacciati esattamente come lo spiego ai bambini “ tra una settimana depositerete il libro là dentro.
“ ma c’è qualcosa da pagare?”
“ci mancherebbe altro”
Le regole vengono assunte dai bambini con facilità e dopo qualche anno si trasmettono da sole, in automatico. Mi stupisco di come vada tutto liscio con bimbi stranieri di tre anni che non dicono una parola in italiano. Di come escano dalla classe, vengano sicuri ai tavoli dove ho spiattellato tutta la mercanzia, comprese le biancanevi di seconda scelta, e mettano la mano sicura su quello che avevano già deciso, o sul libro che assomiglia a quello dell’amico.
Sono le nonne che fanno i capricci, o i giovani zii frettolosi:
“ metti il cappotto, togli le pantofole, ricordati dell’avviso, il bambino  che mi scappa da tutte le parti… e ora anche il libro!”
e poi
“ ma bisogna anche scrivere?”
“si, il cartellino di prestito”
“E proprio oggi non ho gli occhiali “
“ allora glielo compilo io“
e poi
“biblioteca? Si porta a casa il libro?”
“esatto”
“ma mio nipote non sa ancora leggere, signorina, ha tre anni !”
Ma se la biblioteca salta per qualche motivo una settimana, già qualcuno si lamenta. Altri arrivano dalla classe non di turno perché l’alunno settimana scorsa era assente . Qualcuno vuole un libro anche per il fratello. Poi si discute del perché è la terza volta che Fabio sceglie lo stesso libro e la mamma è stufa di rileggerlo o pensa che adesso ce ne voglia uno diverso. Poi si discute del passaggio della prima elementare. Chi legge? La mamma o il bambino? O del perché “mio figlio è pieno di libri a casa e adesso vuole proprio quello lì, tutto rovinato”. E della restituzione “ le assicuro che l’ho già riportato, a casa non c’è”
Sarebbe semplice far compilare il cartellino direttamente ai bambini, e far mettere il libro nel guardaroba. Del resto a quattro cinque anni il proprio nome lo si sa scrivere, del resto certe biblioteche sono riservate ai cinque anni, come se si trattasse di prepararsi alla scuola, orrido concetto.
Ma poi dove finirebbe quella messe di piccole occasionali   comunicazioni che in realtà ci arricchiscono, e la visibilità del lavoro della scuola, e la continuità degli ambienti di vita per i bambino? Non è meglio accollasi la scocciatura di qualche pasticcio di registrazione, di qualche lamentela, di un po’ di pressione? ( perché come sapete gli adulti non rispettano i turni come i bambini ed hanno sempre fretta )
Nonostante la fretta, comunque, apprezzano, e lo dimostrano in varie occasioni.

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