SENTENZA N. 322 nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 35, comma
5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289
ANNO
2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto
CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI
MODONA
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria
FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano
VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
-
Alfonso QUARANTA
- Franco GALLO
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale
dell'art. 35, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2003), promosso con ordinanza del 9 luglio 2004 dal Tribunale di Roma nel
procedimento civile vertente tra B. C. ed altri e Ministero dell'istruzione,
dell'università e della ricerca, iscritta al n. 894 del registro ordinanze 2004
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie
speciale, dell'anno 2004.
Visto l'atto d'intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell'8 giugno
2005 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto in fatto
1.—
Nel corso di un giudizio, promosso nei confronti del Ministero dell'istruzione,
dell'università e della ricerca da alcuni insegnanti dichiarati permanentemente
inidonei allo svolgimento della funzione di docente per motivi di salute e
utilizzati in altri compiti, volto all'accertamento del diritto, in ragione di
quanto previsto dai contratti collettivi di settore, alla conservazione del
rapporto di impiego, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 9 luglio 2004, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 35, comma 5, della
legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), per violazione
degli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione.
1.1.— La norma sospettata
di illegittimità costituzionale dispone che «il personale docente dichiarato
inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti,
dalla commissione medica operante presso le aziende sanitarie locali, qualora
chieda di essere collocato fuori ruolo o utilizzato in altri compiti, è
sottoposto ad accertamento medico da effettuare dalla commissione di cui
all'articolo 2-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 157,
come modificato dall'articolo 5 del decreto legislativo 29 giugno 1998, n. 278,
competente in relazione alla sede di servizio. Tale commissione è competente
altresì ad effettuare le periodiche visite di controllo disposte dall'autorità
scolastica. Il personale docente collocato fuori ruolo o utilizzato in altri
compiti per inidoneità permanente ai compiti di istituto può chiedere di
transitare nei ruoli dell'amministrazione scolastica o di altra amministrazione
statale o ente pubblico. Il predetto personale, qualora non transiti in altro
ruolo, viene mantenuto in servizio per un periodo massimo di cinque anni dalla
data del provvedimento di collocamento fuori ruolo o di utilizzazione in altri
compiti. Decorso tale termine, si procede alla risoluzione del rapporto di
lavoro sulla base delle disposizioni vigenti. Per il personale già collocato
fuori ruolo o utilizzato in altri compiti, il termine di cinque anni decorre
dalla data di entrata in vigore della presente legge».
Il giudice a quo
premette che l'accertamento della inidoneità permanente risale, per tutti i
ricorrenti, a data anteriore all'entrata in vigore della legge n. 289 del 2002 e
che l'utilizzazione del personale docente, inidoneo allo svolgimento delle
proprie funzioni, è disciplinata dal contratto collettivo nazionale di lavoro
(CCNL) del comparto scuola, sottoscritto il 4 agosto 1995, dal contratto
collettivo decentrato nazionale (CCDN), stipulato il 1° febbraio 1996 e
modificato dal successivo CCDN del 24 ottobre 1997, nonché dal contratto
collettivo decentrato provinciale (CCDP), sottoscritto il 18 marzo 1999;
disciplina che riguarda, altresì, anche il personale amministrativo, tecnico e
ausiliario (personale ATA), nonché i dirigenti.
La norma censurata, ad
avviso del rimettente, introduce una causa di “licenziamento in futuro”,
peraltro diversa dalla generale previsione di legge del licenziamento per giusta
causa o giustificato motivo, per la sola categoria docente cui appartengono i
ricorrenti.
Tale norma, quindi, comporterebbe un danno economico legato
alla perdita della progressione economica di carriera, con conseguenze sul
trattamento pensionistico e sulla indennità di liquidazione e discriminerebbe il
personale docente inidoneo rispetto al personale scolastico dirigente ed
amministrativo, analogamente inidoneo, per il quale non è previsto alcun
transito ad altra amministrazione, né la risoluzione del rapporto di
lavoro.
Vi sarebbe, altresì, una disparità di trattamento nei confronti
del personale docente per mancata applicazione delle tutele di cui agli artt. 33
e 34 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali
sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche),
relativi alla gestione delle eccedenze di personale e alla mobilità collettiva.
La norma violerebbe, inoltre, il principio di tutela delle posizioni lavorative
dei portatori di handicap, di cui all'art. 39 del d.lgs. n. 165 del 2001, in
base al quale le pubbliche amministrazioni ne devono promuovere l'assunzione e
non il licenziamento.
La disposizione censurata contrasterebbe, quindi,
con gli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione, in quanto verrebbe ad introdurre
una disciplina svantaggiosa per i soli docenti e non per le altre due categorie
di personale che operano nel mondo della scuola (dirigenti e personale
ATA).
2.— È intervenuto in giudizio, con il patrocinio
dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri,
il quale ha dedotto preliminarmente la inammissibilità della questione, attesa
la carenza di adeguata motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta
infondatezza della stessa.
2.1.— Secondo la difesa erariale, l'ordinanza
di rimessione risulterebbe, infatti, priva di argomentazione circa gli effetti
della invocata pronuncia di incostituzionalità rispetto all'esito del giudizio a
quo, del quale non viene neanche indicato chiaramente il contenuto della domanda
e, in particolare, il tipo di pronuncia richiesto. Ciò anche in ragione della
circostanza che manca qualsiasi provvedimento che incida sul rapporto di lavoro
dei ricorrenti. Deduce la difesa dello Stato, quindi, come lo scopo del giudizio
a quo appaia proprio il conseguimento della declaratoria di illegittimità
costituzionale, circostanza che, per l'appunto, renderebbe inammissibile, per
difetto di rilevanza nel giudizio principale, la questione stessa.
Il
giudice a quo si sarebbe poi limitato solo ad affermare apoditticamente la
sussistenza del requisito della non manifesta infondatezza, mediante il semplice
rinvio alle argomentazioni prospettate dalla difesa dei ricorrenti. Dovrebbe,
pertanto, trovare applicazione la giurisprudenza di questa Corte secondo la
quale la questione di legittimità costituzionale è
manifestamente
inammissibile nei casi in cui il giudice a quo si limiti a
rinviare per relationem al contenuto di un atto della parte privata senza
esplicitare le ragioni che lo hanno indotto a dubitare della legittimità
costituzionale della norma censurata e senza descrivere la fattispecie
sottoposta alla Corte.
2.2.— Nel merito, l'Avvocatura chiede che la
questione sia dichiarata non fondata. Essa deduce, al riguardo, come non sembri
sufficiente, per ritenere che la norma denunciata abbia violato il parametro
costituzionale della parità di trattamento sancito dall'art. 3 della
Costituzione, il confronto con la distinta disciplina prevista dalla
contrattazione collettiva per tutte le categorie del personale scolastico
(personale docente, personale amministrativo, tecnico e ausiliario e dirigenti,
vale a dire presidi e direttori didattici); disciplina che, a seguito
dell'entrata in vigore della norma in esame, continuerebbe ad applicarsi al
personale diverso da quello docente. Secondo la difesa erariale, infatti,
l'appartenenza di tutte le categorie di personale sopra indicato
all'amministrazione scolastica non è sufficiente a superare le profonde
differenze esistenti nei profili professionali del personale docente, da una
parte, e di quello amministrativo, tecnico ed ausiliario, nonché di quello
dirigente, dall'altra. In realtà, mentre è possibile ipotizzare che il soggetto
dichiarato inidoneo all'insegnamento, ma idoneo ad altri compiti, possa essere
utilmente impiegato in altri settori della stessa amministrazione o di altra
amministrazione statale o ente pubblico, di converso non è facilmente
ipotizzabile una soluzione simile anche per il personale scolastico dirigente o
amministrativo dichiarato inidoneo, per motivi di salute, a svolgere le mansioni
previste dal profilo di appartenenza. L'Avvocatura ricorda, altresì, come il
comma 6 dell'art. 35 della legge n. 289 del 2002 stabilisca che «per il
personale amministrativo, tecnico e ausiliario dichiarato inidoneo a svolgere le
mansioni previste dal profilo di appartenenza non si procede al collocamento
fuori ruolo. I collocamenti fuori ruolo eventualmente già disposti per detto
personale cessano il 31 agosto 2003». Infine, la difesa dello Stato deduce come
non si possa sostenere che la norma censurata leda il principio della tutela del
lavoro ed il diritto alla retribuzione dei lavoratori, riconosciuti
rispettivamente dagli artt. 35 e 36 della Costituzione, in quanto la risoluzione
del rapporto di lavoro viene individuata, come estrema ratio, nell'ipotesi in
cui il docente dichiarato inidoneo alla propria funzione per motivi di salute,
ma idoneo ad altri compiti, non intenda chiedere, nel termine massimo di cinque
anni, di transitare nei ruoli dell'amministrazione scolastica o di altra
amministrazione statale o ente pubblico. In questo caso la risoluzione del
rapporto di lavoro discende direttamente dalla mancata volontà del dipendente di
trovare, comunque, nel settore pubblico ed in tempi sicuramente ragionevoli, una
nuova ed idonea collocazione lavorativa confacente al proprio stato di
salute.
2.3.— Con successiva memoria, l'Avvocatura ha insistito nelle
richieste già formulate ribadendo le difese svolte.
Considerato in
diritto.
1.— Il Tribunale di Roma, adìto con ricorso da alcuni
insegnanti, dichiarati permanentemente inidonei allo svolgimento della funzione
di docente per motivi di salute e utilizzati in altri compiti, per
l'accertamento del diritto degli stessi alla conservazione del rapporto di
lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell'art. 35, comma 5, della
legge 27 dicembre 2002, n. 289(Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), per violazione
degli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione.
1.1.— La norma in questione
dispone che il personale docente, dichiarato inidoneo alla propria funzione per
motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, collocato fuori ruolo o utilizzato
diversamente, può chiedere di transitare nei ruoli dell'amministrazione
scolastica o di altra amministrazione statale o ente pubblico; qualora non
transiti in altro ruolo, viene mantenuto in servizio per un periodo massimo di
cinque anni dalla data del provvedimento di collocamento fuori ruolo o di
utilizzazione in altri compiti e, decorso tale termine, si procede alla
risoluzione del rapporto di lavoro sulla base delle disposizioni
vigenti.
L'ultimo inciso dell'art. 35, comma 5, contiene una disposizione
transitoria, in ragione della quale, per il personale già collocato fuori ruolo
o utilizzato in altri compiti (è questa la condizione in cui si trovano i
ricorrenti nel giudizio a quo), il termine di cinque anni decorre dalla data di
entrata in vigore della legge medesima.
Ad avviso del rimettente, la
norma in esame contraddice quanto previsto dalla normativa
contrattuale
di settore, arreca un danno economico ai ricorrenti e viola il principio della
tutela delle posizioni lavorative dei portatori di handicap (art. 39 del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che reca «Norme generali sull'ordinamento del
lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche»).
La disposizione
censurata sarebbe, quindi, lesiva degli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione, in
quanto introdurrebbe una disciplina svantaggiosa per i soli docenti e non per le
altre due categorie di personale che operano nel mondo della scuola (dirigenti e
personale amministrativo, tecnico e ausiliario – personale ATA).
Si
realizzerebbe, in particolare, una disparità di trattamento nei confronti del
personale docente per la mancata applicazione, nei confronti dello stesso, delle
tutele previste dagli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 165 del 2001.
Il
Tribunale ha osservato, in ordine alla rilevanza della questione, che la
risoluzione del rapporto di lavoro, ai sensi della disposizione impugnata, in
ragione delle condizioni oggettive e soggettive in cui si trovano i ricorrenti,
potrebbe avvenire «in qualsiasi momento e comunque entro gennaio
2008».
2.— Ciò precisato, occorre darsi carico, preliminarmente,
della eccezione di inammissibilità della questione, per carenza di motivazione
in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza, sollevata
dall'Avvocatura generale dello Stato.
L'eccezione non è
fondata.
2.1.— Il giudice rimettente ha esplicitato, con motivazione non
implausibile (cfr. sentenze n. 147 del 2005 e n. 339 del 2004), le ragioni della
rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione, chiarendo, in
particolare, come il giudizio a quo sostanzialmente abbia ad oggetto una domanda
di accertamento del diritto alla conservazione del rapporto di impiego, diritto
di cui i ricorrenti prospettano la lesione per effetto dell'applicazione della
norma sospettata di illegittimità costituzionale.
3.— La questione,
però, deve essere dichiarata inammissibile per la parte che riguarda
l'indicazione, quali parametri che si assumono violati, degli artt. 35 e 36
della Costituzione, in quanto viene enunciata dal rimettente senza alcuna
motivazione specifica (ex multis, ordinanze n.149 del 2005, n. 318 e n. 156 del
2004).
4.— Con riferimento, dunque, al solo parametro dell'art. 3
della Costituzione, ai fini dell'esame nel merito della questione sollevata dal
giudice a quo, è opportuno procedere ad una ricognizione della disciplina che
regola la fattispecie, con la precisazione che restano estranee allo scrutinio
di costituzionalità tutte le questioni relative alla disciplina della materia
contenuta in atti di contrattazione collettiva per le varie categorie di
personale della scuola, quale che sia la funzione svolta o il profilo
professionale di appartenenza.
4.1.— La norma sospettata di illegittimità
costituzionale si inserisce nell'ambito della disciplina della dispensa dal
servizio per assoluta e permanente inidoneità fisica o incapacità o persistente
insufficiente rendimento del personale docente e dei dirigenti, di cui all'art.
512 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico
delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle
scuole di ogni ordine e grado). Analoga disposizione, di carattere generale per
tutto il personale del pubblico impiego, è contenuta nel decreto del Presidente
della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni
concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), il quale all'art. 71
stabilisce che, scaduto il periodo massimo di aspettativa per infermità previsto
dall'art. 68 o dall'art. 70 dello stesso decreto, l'impiegato che risulti non
idoneo per infermità a riprendere servizio è dispensato ove non sia possibile
utilizzarlo, su domanda, in altri compiti attinenti alla sua
qualifica.
Per il comparto della scuola (docenti, dirigenti e impiegati),
per effetto degli artt. 514 e 579 del d.lgs. n. 297 del 1994, il personale
dichiarato inidoneo all'espletamento della propria funzione per motivi di salute
può, a domanda, essere utilizzato in altri compiti.
Va, inoltre,
ricordato che gli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 165 del 2001, richiamati dal
giudice a quo come parametri interposti, hanno disciplinato, rispettivamente, le
“eccedenze di personale” e la “mobilità collettiva” (art. 33), da un lato, e la
“gestione del personale in disponibilità” (art. 34),dall'altro.
Dette
norme, in connessione anche con il successivo art. 34-bis, dispongono, tra
l'altro, che:
a) la riduzione del personale eccedente può avvenire
secondo una procedura, che coinvolga le organizzazioni sindacali, rigidamente
disciplinata; procedura che si conclude – ove il personale in esubero non possa
essere impiegato diversamente nell'ambito della medesima
amministrazione
ovvero ricollocato presso altre amministrazioni – con il
collocamento in disponibilità per la durata massima di ventiquattro
mesi;
b) il personale in disponibilità è iscritto in appositi elenchi
(art. 34, comma 1) tenuti dal Dipartimento della funzione pubblica per i
dipendenti lato sensu statali (comma 2) e dalle strutture regionali e
provinciali, di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469
(Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia
di mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59)
per gli altri dipendenti pubblici; entrambe le suindicate strutture hanno il
compito di provvedere alla riqualificazione professionale dello stesso personale
ed alla ricollocazione degli interessati presso altre amministrazioni,
collaborando e coordinandosi tra loro;
c) decorso infruttuosamente il
periodo di ventiquattro mesi, il rapporto di lavoro si intende definitivamente
risolto.
4.2.— Quanto alla giurisprudenza di questa Corte, va ricordato
che con sentenza n. 3 del 1994, nel pronunciare l'illegittimità costituzionale
dell'art. 132, primo comma, del d.P.R. n. 3 del 1957 (nella parte in cui non
prevedeva la riammissione in servizio per chi fosse stato dispensato per motivi
di salute), la Corte ha affermato che «la dispensa per motivi di salute si fonda
su una situazione (lo stato di infermità) la quale (…) è ovviamente indipendente
dalla volontà dell'interessato – per cui certamente esula dal provvedimento una
valutazione negativa del comportamento dell'impiegato (e comunque qualsiasi
profilo sanzionatorio)». Va ricordato, altresì, come la Corte, con la sentenza
n. 212 del 1983, nell'esaminare gli effetti dell'assenza dal servizio per
infermità del docente non di ruolo, ha affermato che «in tutto l'ambito della
pubblica amministrazione non è mai riconosciuto all'impiegato il diritto ad
un'assenza illimitata dal servizio a causa d'infermità; è sempre stabilito,
invece, un periodo più o meno lungo, decorso il quale, ove l'impiegato non sia
in grado di riprendere servizio, si fa luogo alla cessazione del rapporto
d'impiego, applicando, secondo i casi, gli istituti all'uopo preordinati
(collocamento a riposo per motivi di salute, dispensa dal servizio per inabilità
fisica, licenziamento, ecc.)».
Va ricordato, infine che, con sentenza n.
388 del 2004, questa Corte ha avuto modo di affermare che «l'art. 34 del d.lgs.
n. 165 del 2001 enuncia esplicitamente il principio per cui il personale in
esubero presso pubbliche amministrazioni, sia statali che locali, deve poter
essere ricollocato durante il periodo di mobilità presso altre amministrazioni
sia per evitare la cessazione definitiva del rapporto di lavoro sia anche per
realizzare, in termini globali, un contenimento della spesa per il
personale».
4.3.— Dall'esame delle richiamate disposizioni normative,
dunque, e dalla giurisprudenza di questa Corte emerge con chiarezza che sussiste
un principio generale, nell'ordinamento del pubblico impiego, in forza del quale
il personale inidoneo al servizio per ragioni di salute, prima di essere
dispensato, deve essere posto nelle condizioni di continuare a prestare servizio
nell'assolvimento di compiti e funzioni compatibili con le sue condizioni di
idoneità fisica. Soltanto nel caso in cui non sia possibile tale utilizzazione,
o per ragioni di carattere oggettivo o per scelta dell'interessato, ne è
disposto il collocamento a riposo d'autorità.
5.— Tanto rilevato,
deve essere esaminata la questione di legittimità costituzionale della norma
impugnata per asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione in ragione
della ingiustificata disparità di trattamento che sussisterebbe tra il personale
docente, da un lato, e il personale dirigente e amministrativo, tecnico ed
ausiliario, dall'altro.
Secondo, infatti, la prospettazione formulata
dall'ordinanza di rimessione, tale disparità di trattamento deriverebbe sia
dalla impossibilità di applicare al personale docente le disposizioni degli
artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 165 del 2001, sia dalla sussistenza – in ordine al
medesimo personale – di una disciplina differenziata, in senso sfavorevole,
rispetto a quanto previsto per i dirigenti e per il personale ATA.
5.1.—
La questione non è fondata.
5.2.— Quanto al primo profilo, si può
osservare che gli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 165 del 2001attengono ad istituti
diversi, strutturalmente e funzionalmente, rispetto a quello interessato dalla
norma sospettata di illegittimità costituzionale.
5.3.— In merito poi
alla denunciata disparità di trattamento del personale docente rispetto al
personale dirigente e al personale ATA, in ragione della previsione solo per i
primi della risoluzione del rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 35, comma 5,
della legge n. 289 del 2002, va osservato che le indicate tipologie di personale
versano in una situazione di stato giuridico che non ne consente l'assimilazione
in una unica categoria, con la conseguenza che non è irragionevole la previsione
di una diversa disciplina in materia.
Il Titolo I della Parte III del
d.lgs. n. 297 del 1994 (artt. da 395 a 541), la cui rubrica reca Personale
docente, educativo, direttivo e ispettivo, agli artt. 395 e 396 definisce in
maniera specifica la funzione docente (intesa come esplicazione essenziale
dell'attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di
essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla
formazione umana e critica della loro personalità), rispetto alla funzione
direttiva (prevedendosi per questa che «il personale direttivo assolve alla
funzione di promozione e di coordinamento delle attività di circolo o di
istituto; a tal fine presiede alla gestione unitaria di dette istituzioni,
assicura l'esecuzione delle deliberazioni degli organi collegiali ed esercita le
specifiche funzioni di ordine amministrativo, escluse le competenze di carattere
contabile, di ragioneria e di economato, che non implichino assunzione di
responsabilità proprie delle funzioni di ordine amministrativo»). L'art. 25 del
d.lgs. n. 165 del 2001, al comma 1, prevede, poi, che nell'ambito
dell'amministrazione scolastica periferica è istituita la qualifica dirigenziale
per i capi di istituto preposti alle istituzioni scolastiche ed educative alle
quali è stata attribuita personalità giuridica ed autonomia a norma
dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il
conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma
della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), e
successive modificazioni ed integrazioni. I dirigenti scolastici sono inquadrati
in ruoli di dimensione regionale e rispondono, agli effetti dell'articolo 21,
per i risultati conseguiti, che sono valutati tenuto conto della specificità
delle funzioni e sulla base delle verifiche effettuate da un nucleo di
valutazione istituito presso l'amministrazione scolastica
regionale.
Quanto alla disciplina del personale amministrativo, tecnico e
ausiliario (personale ATA), essa è contenuta nel Titolo II della Parte III
(artt. da 542 a 580) del d.lgs. n. 297 del 1994. In particolare, per il
personale in questione l'art. 579, comma 1, prevede che «gli impiegati
appartenenti al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, se riconosciuti
permanentemente non idonei agli specifici compiti del ruolo di appartenenza,
possono essere trasferiti, a domanda, con decreto del provveditore agli studi,
su parere favorevole del consiglio di amministrazione provinciale, sempre che vi
sia disponibilità di posti, in altro profilo professionale della medesima
qualifica funzionale per i cui compiti sia loro riconosciuta la necessaria
idoneità».
Alla luce delle citate disposizioni è palese che il giudice a
quo muove dall'erroneo convincimento che le tre categorie di personale, che
operano nel mondo della scuola (personale docente, dirigente e ATA), siano
riconducibili ad una medesima disciplina di stato giuridico, con la conseguenza
che sarebbe ingiustificata una diversa regolamentazione in ordine alle modalità
e alla durata del trattenimento in servizio in caso di riconosciuta inabilità
allo svolgimento delle rispettive funzioni di istituto per motivi di
salute.
Il presupposto di tale convincimento non corrisponde al dato
normativo, il quale si caratterizza per discipline di stato giuridico distinte
per le tre categorie. Si tratta, infatti, di
categorie che presentano
sostanziali diversità di funzioni, che giustificano la differenziata valutazione
operata dal legislatore – con scelta discrezionale non irragionevole – in ordine
al collocamento fuori ruolo e all'assegnazione a compiti diversi da quelli
inerenti alla qualifica di appartenenza originaria. Non può, quindi, essere
affermata l'esistenza di quella identità di situazioni giuridiche, rispetto alle
quali la disciplina impugnata sia idonea a determinare una disparità di
trattamento rilevante agli effetti dell'art. 3 della
Costituzione.
Inoltre, in un complessivo quadro di misure volte alla
razionalizzazione delle risorse finanziarie per la scuola e nell'ambito di una
politica generale di contenimento della spesa, trovano giustificazione norme
dirette alla più proficua utilizzazione del personale che, pur non idoneo per
ragioni di salute all'espletamento della funzione docente, può essere ancora
proficuamente utilizzato in altre funzioni, previo il transito presso altre
strutture organizzative pubbliche. Né è senza significato che il comma 6 dello
stesso art. 35 oggetto di censura stabilisca che «per il personale
amministrativo, tecnico e ausiliario dichiarato inidoneo a svolgere le mansioni
previste dal profilo di appartenenza non si procede al collocamento fuori ruolo»
e che «i collocamenti fuori ruolo eventualmente già disposti per detto personale
cessano il 31 agosto 2003».
Alla luce, pertanto, delle considerazioni che
precedono, deve essere dichiarata la non fondatezza della questione di
legittimità costituzionale sollevata dal giudice rimettente in riferimento
all'art. 3 della Costituzione.
Per questi motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 35, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato –
legge finanziaria 2003), sollevata, in riferimento agli articoli 35 e 36 della
Costituzione, dal Tribunale di Roma, con l'ordinanza indicata in
epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 35, comma 5, della predetta legge n. 289 del 2002, sollevata, in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Roma, con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio
2005.
F.to:
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Alfonso
QUARANTA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 26 luglio 2005.
Il Direttore della
Cancelleria
F.to: DI PAOLA
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.