Lasciare la scuola costerà caro
Al prof che cambia amministrazione 500 in meno al mese
Antimo Di Geronimo
ItaliaOggi AZIENDA SCUOLA 14/04/2015
I docenti che sono stanchi di insegnare potranno chiedere di passare in
altre amministrazioni dello stato. A patto che siano disposti a
rinunciare a tutti gli scatti di carriera fin qui maturati e che si
accontentino di uno stipendio più basso. È quanto si evince dallo schema
di decreto predisposto dalla Funzione pubblica in vista dell'avvio
della discussione davanti alla conferenza unificata, che dovrebbe
cominciare nei prossimi giorni.
Il provvedimento, malgrado tutto, sembrerebbe andare incontro alle attese di molti docenti che aspirano a cambiare lavoro.
Negli ultimi decenni, il costante peggioramento della qualità della vita
nelle classi ha determinato un aggravamento dell'onerosità della
prestazione. E a ciò ha fatto seguito anche un forte inasprimento del
rapporto gerarchico verticale tra docenti e preside. Tanto per fare un
esempio, mentre fino a qualche anno fa il preside poteva sospendere
autonomamente un alunno indisciplinato, mentre doveva chiedere
l'intervento di un'autorità superiore per sospendere un docente, adesso
le cose si sono capovolte: il dirigente scolastico può sospendere un
docente, senza il concorso di altra autorità, ma non può sospendere un
alunno che si comporta male. In quest'ultimo caso, infatti, è necessario
un provvedimento collegiale del consiglio di classe.
Il risultato è che, secondo recenti statistiche derivanti dall'esame di
dati Inpdap sulle richieste di pensione per inabilità, la categoria dei
docenti sarebbe due volte più soggetta a patologie da burnout rispetto
alla categoria degli impiegati. Il dato non deve sorprendere.
Allo stress dovuto alle dinamiche relazionali tipiche della professione
va aggiunto anche il peso di un alto tasso di pendolarismo, che pesa
direttamente sull'onere della prestazione. Di qui la legittima
aspirazione di andare a lavorare in altre amministrazione dello stato.
Che al di là dei luoghi comuni, è molto più diffusa di quanto si creda.
La prospettiva di un lavoro ad orari fissi (flessibili al bisogno) senza
l'assillo della correzione dei compiti e dello studio casalingo per
preparare le lezioni, le ferie anche in periodi diversi dall'estate e,
soprattutto, la stabilità della sede di lavoro, rendono la mobilità
intercompartimentale particolarmente appetibile.
Ma chi opterà per questa soluzione dovrà prepararsi ad accettare uno
stipendio più basso: i docenti delle secondarie saranno inquadrati nel
ruolo dei funzionari (area C) e gli insegnanti di scuola dell'infanzia e
della primaria nel ruolo degli impiegati di concetto (area B). Ma
riceveranno uno stipendio pari a quello di un vincitore di concorso
neoassunto. La perdita salariale, dunque, potrà arrivare fino a 500 euro
in meno, netti mensili. Per la mobilità volontaria, infatti, la bozza
di decreto non prevede la possibilità del cosiddetto assegno ad
personam. E cioè il mantenimento dello stesso stipendio che si percepiva
nell'amministrazione di provenienza (ma con il blocco degli scatti di
anzianità). Quest'ultima ipotesi, però, non è applicabile alla
scuola. Perché la legge consente il mantenimento del diritto a
continuare a percepire lo stesso importo retributivo maturato solo nel
caso in cui la mobilità intercompartimentale avvenga in sede di
ricollocazione di personale in esubero. E ciò avviene solo quando non vi
è possibilità di ricollocazione nella stessa amministrazione dove il
lavoratore presta servizio.
Nella scuola, infatti, la ricollocazione avviene tramite le
utilizzazioni. E ciò preclude l'insorgenza (peraltro non auspicabile)
delle condizioni per la mobilità intercompartimentale coattiva. Va
detto inoltre che la mobilità intercompartimentale a domanda è un
diritto che può essere soddisfatto solo in presenza del previo nulla
osta dell'amministrazione di appartenenza e dell'accettazione da parte
dell'amministrazione ricevente. Che può essere negata. Anche se la legge
vieta alle amministrazione la possibilità di mettere posti a concorso
in assenza del previo tentativo di coprire i posti accettando le domande
di dipendenti provenienti da altre amministrazioni.
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